Se il parto rappresenta un momento di gioia (nonostante i dolori), il primo attaccamento al seno materno rimane il momento emozionante e intimo per eccellenza.
Il seno è la prima parte del corpo materno con cui il piccolo entra in contatto dopo la nascita e svolge una doppia funzione: da un lato soddisfa il suo bisogno primordiale e indispensabile di essere nutrito, dall’altro rappresenta il primo “oggetto” che egli sarà in grado di afferrare e attraverso il quale creerà una relazione -sana o patologica- con il mondo.
Attraverso la bocca e usufruendo del seno della madre, il piccolo impara a conoscere la realtà esterna: così, l’alimentazione si configura come metafora della relazione con l’ambiente. Il cibo diventa il primo “intermediario” tra madre e figlio, è un “linguaggio” che stimola emozioni ed è fonte di intense esperienze sensoriali: sono queste le premesse dalle quali potrà svilupparsi un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA).
Spesso, a tali disturbi, si tende ad associarvi un (pre)adolescente o un giovane adulto; difficilmente si considera l’idea che questi possano riguardare anche un bambino. Eppure, i primi DCA sono osservabili già nel lattante (o durante lo svezzamento), per poi trovare il loro picco massimo intorno ai 18 anni: essendo disturbi molto precoci tendono a cronicizzarsi, proprio perché l’alimentazione potrebbe diventare il canale privilegiato per comunicare un disagio interno o relazionale. I DCA, dunque, si configurano come lo specchio di una problematica relativa alla sintonia madre-bambino.
È opportuno sottolineare che in ogni fascia d’età ci si interfaccia sia con forme classiche e conclamate di DCA, sia con forme parziali e mascherate.
Conosciamo ormai abbastanza bene l’anoressia, la bulimia, il binge-eating (alimentazione incontrollata) che possono riguardare tanto l’adolescente/adulto quanto il bambino.
Tuttavia, con maggiori difficoltà si riescono a riconoscere altre forme di DCA che possono facilmente essere confuse con delle semplici “preferenze” o “abitudini” alimentari. Nel bambino, per esempio, se ne riscontrano tre particolari forme: l’allattamento prolungato, che si estende dai 2 ai 5-6 anni; l’alimentazione fluida, ove il bambino continua a preferire cibi liquidi o frullati evitando la masticazione nonostante siano già spuntati i dentini; l’alimentazione selettiva, in cui il bambino preferisce solo pochissimi cibi che, solitamente, sono privi di colore.
Se durante la primissima infanzia questi disturbi si manifestano attraverso un rapporto esplicitamente problematico con il cibo, in adolescenza diventa centrale la tematica corporea: compare, così, la fobia del peso. Una forma mascherata di DCA molto frequente a questa età, è la cosiddetta anoressia maschile all’inverso: se la donna allo specchio si vede eccessivamente grassa, il ragazzo -in questo caso- si vedrà eccessivamente magro e sentirà il bisogno ossessivo di creare massa “gonfiando” i muscoli e, quindi, si nutrirà in modo bizzarro seguendo, per esempio, diete iperproteiche. Altre forme “invisibili” di questi disturbi, includono anche modalità alimentari selettive come il vegetarianismo o il veganismo: dietro motivazioni etiche o salutistiche, infatti, non di rado si cela una patologia. È fondamentale tenere presente, in ogni caso, che i DCA non sono disturbi dell’alimentazione ma, per l’appunto, disturbi del comportamento alimentare. La precisazione è d’obbligo, perché ci troviamo di fronte ad un comportamento che si “veste” di cibo ma che, in realtà, nasconde una serie di meccanismi psicologici e psicopatologici molto complessi. Il sintomo racconta, in termini alimentari, una difficoltà a gestire le relazioni, le percezioni, le emozioni e le pulsioni a cui, quotidianamente, un soggetto si trova ad essere esposto. Le ragioni del disturbo, dunque, sono più ampie di quanto non si immagini; per comprenderle, occorre fare un salto indietro nel tempo scavando nel passato: solo così si potranno (ri)conoscere le origini della sofferenza e si potranno decifrare le “parole” che passano attraverso il cibo.